“Lo capisci che il poco
per chi ha poco è molto”..., queste parole dette con urgenza
mi riportano alla
presenza di un profeta dal volto di una tenerezza infinita,
ma anche di una forza
incisiva che sapeva graffiare fino all'ultimo ogni
menzogna e
ingiustizia: Arturo Paoli.
Ho avuto il dono di
poterlo incontrare e frequentare dal suo ritorno in Italia,
dal Brasile e la sua
immensa umanità e accoglienza mi hanno accompagnato
in questi ultimi anni
di cammino di fede e “liberazione” fatto di incontri,
viaggi, esperienze
perché come dice un suo libro famoso; “camminando s'apre
cammino”. Non ricordo
con precisione quando ho incontrato Arturo la prima
volta, ad un convegno
di “Ore 11”, forse alla casa della Solidarietà a Quarrata,
probabilmente a
Spello, so che le sue parole e la sua testimonianza erano come
un vento nuovo che
scuoteva dal torpore, ( come le sue opere), si sentiva
la presenza di un
uomo riconciliato che trasmetteva “lo stare bene al mondo”
come il titolo di un
libro che citava spesso di Salvatore Natoli
e questa leggerezza
la sapeva infondere alle persone che incontrava.
“Essere leggeri
vuol dire: non portare il peso del passato che non esiste più e la
paura del futuro
che non esiste ancora “...
Ciò che mi colpì in
Arturo era il suo essere “abbordabile” come diceva un altro
grande testimone e
amico, Carlo Carretto, il suo mettersi nelle mani direi dell'altro
senza prevenzioni,
quasi ingenuamente e al contempo la sua docilità alla forza
dello “Spirito”
dove soffiava. Una volta mi disse a tavola fra il serio e il faceto,
che aveva la sindrome
del centauro cioè non si voltava indietro dopo aver preso
una decisione, non
soffriva di torcicollo..standogli vicino si vedeva l'urgenza delle
cose da fare, i tanti
articoli e ultimi libri che scrisse.
Dal dicembre del 2006,
il progetto di aprire una casa di spiritualità per offrire
alle persone in crisi
un oasi di ristoro dal delirio della società postmoderna,
prende avvio e il
“Beato Charles de Foucauld ” sarà il nome della casa che ha
visto
passare numerosi
giovani in ricerca e adulti smarriti per una parola di speranza.
Arturo prendeva
seriamente a cuore ogni persona che si rivolgeva a lui e sapeva
andare alla radice dei
problemi senza inutili parole, sapeva chiamare le cose con
il loro nome. Passava
dalla tenerezza nel tono e nello sguardo alla incisività
delle sue denunce
contro i mali che vedeva.
Quando celebrava, dopo
la lettura del Vangelo, alzava il “libro” e diceva
“Parola della nostra
liberazione”, mi colpiva molto la sproporzione fra l'energia
della sua omelia e la
fragilità del corpo, come una marea che all'improvviso si
monta, avvertivo il
soffiare di una forza che scaldava il cuore.
Il suo motto
preferito era una frase del grande gesuita, P Teilhard de
Chardin, “Amoriser
le Monde”, amorizzare il mondo, per Arturo nessuno è
neutrale, siamo
responsabili per le dinamiche che mettiamo nel mondo, sia di
morte che di vita.
Il suo filosofo di riferimento nella deriva tecnocratica
è stato Emmanuel
Lévinas, l'urgenza della relazione, la morte della
filosofia dell'essere
per la nascita dell'etica, l'apparizione del volto nella relazione
asimmetrica che
Arturo ha incontrato nel povero ( tutto quello che sono lo devo
ai poveri) dove si è
liberato di una sovrastruttura intellettuale (il deserto)
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