martedì 23 febbraio 2016

UN PROFETA SCOMODO

Lo capisci che il poco per chi ha poco è molto”..., queste parole dette con urgenza
mi riportano alla presenza di un profeta dal volto di una tenerezza infinita,
ma anche di una forza incisiva che sapeva graffiare fino all'ultimo ogni
menzogna e ingiustizia: Arturo Paoli.
Ho avuto il dono di poterlo incontrare e frequentare dal suo ritorno in Italia,
dal Brasile e la sua immensa umanità e accoglienza mi hanno accompagnato
in questi ultimi anni di cammino di fede e “liberazione” fatto di incontri,
viaggi, esperienze perché come dice un suo libro famoso; “camminando s'apre
cammino”. Non ricordo con precisione quando ho incontrato Arturo la prima
volta, ad un convegno di “Ore 11”, forse alla casa della Solidarietà a Quarrata,
probabilmente a Spello, so che le sue parole e la sua testimonianza erano come
un vento nuovo che scuoteva dal torpore, ( come le sue opere), si sentiva
la presenza di un uomo riconciliato che trasmetteva “lo stare bene al mondo”
come il titolo di un libro che citava spesso di Salvatore Natoli
e questa leggerezza la sapeva infondere alle persone che incontrava.
Essere leggeri vuol dire: non portare il peso del passato che non esiste più e la
paura del futuro che non esiste ancora “...
Ciò che mi colpì in Arturo era il suo essere “abbordabile” come diceva un altro
grande testimone e amico, Carlo Carretto, il suo mettersi nelle mani direi dell'altro
senza prevenzioni, quasi ingenuamente e al contempo la sua docilità alla forza
dello “Spirito” dove soffiava. Una volta mi disse a tavola fra il serio e il faceto,
che aveva la sindrome del centauro cioè non si voltava indietro dopo aver preso
una decisione, non soffriva di torcicollo..standogli vicino si vedeva l'urgenza delle
cose da fare, i tanti articoli e ultimi libri che scrisse.
Dal dicembre del 2006, il progetto di aprire una casa di spiritualità per offrire
alle persone in crisi un oasi di ristoro dal delirio della società postmoderna,
prende avvio e il “Beato Charles de Foucauld ” sarà il nome della casa che ha visto
passare numerosi giovani in ricerca e adulti smarriti per una parola di speranza.
Arturo prendeva seriamente a cuore ogni persona che si rivolgeva a lui e sapeva
andare alla radice dei problemi senza inutili parole, sapeva chiamare le cose con
il loro nome. Passava dalla tenerezza nel tono e nello sguardo alla incisività
delle sue denunce contro i mali che vedeva.
Quando celebrava, dopo la lettura del Vangelo, alzava il “libro” e diceva
Parola della nostra liberazione”, mi colpiva molto la sproporzione fra l'energia
della sua omelia e la fragilità del corpo, come una marea che all'improvviso si
monta, avvertivo il soffiare di una forza che scaldava il cuore.
Il suo motto preferito era una frase del grande gesuita, P Teilhard de
Chardin, “Amoriser le Monde”, amorizzare il mondo, per Arturo nessuno è
neutrale, siamo responsabili per le dinamiche che mettiamo nel mondo, sia di
morte che di vita. Il suo filosofo di riferimento nella deriva tecnocratica
è stato Emmanuel Lévinas, l'urgenza della relazione, la morte della
filosofia dell'essere per la nascita dell'etica, l'apparizione del volto nella relazione
asimmetrica che Arturo ha incontrato nel povero ( tutto quello che sono lo devo
ai poveri) dove si è liberato di una sovrastruttura intellettuale (il deserto)


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