Un Pensiero da Andrea Bassani

Un poeta non è colui che scrive poesia, ma colui che cerca poesia e la trova, l'assorbe, la metabolizza, la trasforma e la "restituisce". L'atto di scrivere è solamente l'aspetto finale dell'iter che caratterizza il movimento dell'uomo poeta. 
E' questa la prima riflessione che mi sovviene pensando a Massimiliano Filippelli.
Un uomo eternamente ragazzo, con una fame giovane che stringe al petto il dolore antico del viver fuori posto, in un mondo che non gli appartiene e che non riesce a sentir suo.
Un dolore sempre nuovo, che si rinnova quotidianamente, portando freschezza ai suoi versi, ma al tempo stesso io percepisco in comunione con un dolore antico di disagio, forse legato all'infanzia. Filippelli rifiuta l'ermetismo perché per lui la poesia non è l'occasione per la costruzione di un muro ma di un ponte. Filippelli cerca attraverso il richiamo naturale del suo scorrevole versificare il suono dell'altro, ma non un altro qualsiasi: qualcuno che che sente come lui e veda come lui e respiri come lui. Qualcuno che poi diventi due, poi tre, poi quattro, poi una famiglia. Le sue impressioni e le sue sensazioni vengono dichiarate in una sorta di lamento che diventa ululato di un lupo solitario. Massimiliano ha paura e lo dice.
Massimiliano ama  e desidera essere amato, e lo dice.  "Desidero l'essenza nella tua assenza", scrive in "Paura". Vuole arrivare alla sorgente, alla radice. Vuole Dio, che sia la donna amata o un miracolo. La verità gli sfugge di continuo, ma "un rivolo di speranza", una "piccola luce nella notte" e forse alcuni sguardi lo tengono vivo in un cammino desertico durante il quale lasciarsi andare alle sabbie roventi è più facile di quanto si possa immaginare. 

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